[6 – 13 agosto 2019]
Ecco il percorso che abbiamo seguito attraverso la Serbia per arrivare in Kosovo.
(Clicca sulle icone per informazioni sulle tappe e i punti d’interesse)
6 agosto 2019. 16° giorno.
Vardiste – Mokra Gora – Kremna – lago Zaovine – Mitrovac
74 km. Dislivello + ~1.600m.
Passiamo di buon ora la dogana fra la Bosnia Erzegovina e la Serbia. I posti di blocco mi stressano decisamente meno di prima, però ho sempre l’impressione che quei tipi in uniforme, così seri e formali, mi possano trovare qualcosa fuori posto. E se non gli andasse bene che abbia steso i panni ad asciugare sulla bici?
Ci piacerebbe scattare delle belle foto ricordo, ci siamo anche impegnate. Purtroppo abbiamo il sole contro e poi c’è pure quel cespuglio che nasconde la scritta principale: Serbia.
Dopo tutto quello che abbiamo sentito sul conto dei serbi, Milosevic e compagnia bella, entriamo nel paese con qualche preconcetto. Lo dobbiamo ammettere.
Le zone di confine mi sembrano sempre posti silenziosi, fra il sacro e lo squallido. Ma poi com’è iniziata questa storia dei confini? Come hanno fatto a stabilire in maniera precisa fin qui arrivo io, da qui in poi cominci tu. Forse è per questo che c’è un po’ di spazio fra la dogana del paese da cui si esce e quella del paese in cui di entra. Uno spazio di tolleranza e adattamento.
Per mia grande gioia la prima tappa è Mokra Gora. È da lì che parte il famoso treno a vapore Šarganska Osmica – Šargan Eight in inglese – che fa uno zig zag a forma di otto per la montagna e non ti porta da nessuna parte perché poi torna indietro.
Nel 2004 il film di Kusturica “La vita è un miracolo”, è stato girato proprio su questi binari.
Mi sono sempre piaciuti i treni. Anche quelli turistici, con le ruote, che ti scarrozzano in giro per i paesini e che quindi, proprio treni non sono.
Scegliere la strada giusta è importante, ci sono tante salite, anche sterrate, ed io punto a caso il dito sulla mappa. Andiamo vicino al lago. Deve essere bello per forza, è un lago in un parco naturale!
Quasi fosse una regola intrinseca del salire, si inizia sempre col sole a picco.
Ripeto a mo’ di mantra “pedalata lenta e costante, lenta e costante, lenta e costante”. Non guardo su perché altrimenti mi scoraggio. Quando sono stanca e vedo un’ombra, mi fermo un pochino. Bastano due minuti.
Con la testa calma non è poi così difficile. Bisogna però impedirle di iniziare a sbraitare. La famosa “monkey mind” dei buddisti o lo sciacallo interiore, come dice un mio amico. La mente selvaggia che ti rema contro va trasformata in alleata.
Bisogna allenarla così come alleniamo le gambe.
Nei viaggi precedenti mi inventavo una frase positiva da ripetere per farmi coraggio, ora non funziona. Mi servono la mente libera e gli occhi che osservano l’asfalto. Capisco un po’ meglio la funzione dei paraocchi dei cavalli. Nessuna distrazione. Concentrazione assoluta. Io però scelgo di farlo di mia spontanea volontà. Loro no, mannaggia a noi!
Eider va spedita, come la invidio. Io però non me la cavo malissimo. Sono più lenta e mi riposo più spesso però avanzo.
Aveva appena posizionato questo incoraggiamento per me sulla strada, che eccomi apparire all’orizzonte.
“Daje Glenda, je la pòi fa’ !”. Tradotto dallo spagnolo.

Parliamo castigliano io e lei, è meglio non dire spagnolo visto che il suo sangue basco si potrebbe offendere. Tuttavia qualcosa in italiano lo ha imparato. Questo messaggio accorato per i suoi amici ciclisti italiani, espone un problema grave che affligge tutte noi che andiamo in bici in estate.
Imbocchiamo una stradina sterrata, sono meno di venti chilometri, proviamoci. Al limite torniamo indietro, penso io. Ma non dico niente. Sento che lei è preoccupata, non capisco perché. Il percorso è bellissimo e all’interno del parco. Certo lo sterrato con le borse e ruote lisce non è proprio una passeggiata.
Forza a spingere e speriamo che non sia troppo lunga.
Eider mi spiega che pensava che stessimo su un’altra strada, per questo sbraitava, non si guardava intorno e chiedeva ad ogni persona che passava. E proprio non riusciva a capire perché io fossi così tranquilla e di buon umore.
Eh Vabbè ci siamo capite male. Sicuramente al lago saremo ripagate per i nostri sforzi.
Manco per niente! Esitando scendiamo e scendiamo – e poi dovremo di nuovo salire e salire – fino a questo dedalo di lago. Quante risate isteriche ci facciamo. Prima di tutto al lago non ci si può nemmeno avvicinare perché è tutto privato, e poi è brutto!
C’è un Warmshower che ci aspetta a Bajina Basta. Sono 20km di discesa. Dai andiamo che è tardi. Seguiamo il navigatore, anche se avevamo appena detto di non fidarci e verificare, visto l’inconveniente di oggi.Il posto continua ad essere bello, ma siamo fuori dalle grazie del gps e sta facendo buio. Poi chissà che animali ci sono da queste parti.È importante prendere decisioni quando si è lucidi e quindi non in salita!
È importante prendere decisioni quando si è lucidi e quindi non in salita!

Dal warmshower non ci siamo mai arrivate.
Al calar della notte montiamo le tende nel comodo giardino di un’accogliente famiglia serba che ci ha visto in difficoltà, ma che non parla una parola d’inglese.
“Sprichst du deutch?”
No, ma perché tedesco siamo in Serbia?!
Basta un po’ di rakija fatta in casa e mi sorprendo a parlare un rudimentale tedesco intrappolato fino a quel momento nei ricordi delle scuole superiori.
La rakija è una tipica bevanda balcanica la cui gradazione alcolica può arrivare al 60% e questa sera è piacevolmente accompagnata da patatine alle noccioline, in serbo “kikiriki” (arachidi), una meraviglia di parola che non vorrei mai smettere di ripetere.
Dopo una giornata così impegnativa, domani, come starò?!
7 agosto 2019. 17° giorno.
Tara – Zlatibor
42 km. Dislivello positivo ~1.000 m.
Dopo la notte insonne, forse perché troppo stanca per dormire o per colpa della rakija, – che rifiutiamo a colazione deludendo i nostri nuovi amici – ci prepariamo con calma prima di ripartire. Non sappiamo ancora esattamente dove andare.
Mira, la padrona di casa, ci vizia con le sue deliziose zeppole fatte in casa.
Miro, il padrone di casa, nonché marito di Mira, ci porta il giornale con la notizia che a Guca, un paesino a 80 km da lì – che non sembrano tanti ma in bici ci si mette un giorno intero – c’è un imperdibile festival della tromba.
Interessante, però le trombe fanno tanto casino, la gente si ubriaca, cosa ci andiamo a fare?
Però va bene dài, andiamo dalla Warmshower di Uzice che è di strada, così abbiamo il tempo di pensarci.
La famiglia al completo, con minacciosi rastrelli alla mano, sbuca dal cespuglio.
“Bici e bruttezze” che in B/N sembrano meno brutte.
Arriviamo al bivio Uzice/Zlatibor. Zlatibor sarebbe stata la tappa dopo il parco nazionale, prima che mi lasciassi convincere a cambiare meta. Eider inchioda, presa dalle sue mille indecisioni – ho trovato chi è peggio di me – e dice che forse andate a Zlatibor ha più senso perché è nella direzione del prossimo parco naturale. Uvac. Dubbi e ancora dubbi. Tiriamo la monetina, testa o croce? È chiaro, la monetina ci suggerisce Zlatibor, andiamo!
Macchine, tante macchine e camion e trattori e autobus. Caldo e salita. Ci concentriamo e pedaliamo. Finché, durante una sosta al benzinaio – ci piacciono i benzinai perché ci sono ombra e bagni – lei decide di tornare indietro per raggiungere Uzice, dove la signorina Warmshower, che ci avrebbe ospitate quella sera, aveva organizzato una festa. Cerca di convincermi. Sono irremovibile, mai andare contro il verdetto della monetina. Ci separiamo.
Zlatibor è una cittadina turistica che poggia su un altopiano. Ora, che in inverno sia piena di turisti che vengono a sciare, lo capisco ma cosa vengano a fare qui in estate rimane un mistero.
Bancarelle e ancora bancarelle intorno al laghetto trucido, fontanella con fila perenne e supermercato pieno di prodotti belga del Delhaize.
Ceno con qualche pannocchia di mais e frutti di bosco autoctoni per dessert.
Alla fine anche a me piacciono le bancarelle!
8 agosto 2019. 18° giorno.
Zlatibroska Jezera

Oggi finalmente mi riposo. A pochi chilometri da Zlatibor c’è questa fantastica piscina/pozza/lago dall’acqua cristallina ma nera che proprio non riesco a trovare invitante, però tutti ci sguazzano felici.
Ah, come si sta bene sulla sdraio a chiacchierare con gli altri bagnanti e a guardare i giovani cimentarsi in circonvoluzioni per lanciarsi in acqua.
9 agosto 2019. 19° giorno.
Zlatibor – Sirogojno – Guca
82 km. Dislivello positivo ~1.300 m.
Appuntamento con Eider a Sirigojno, il museo a cielo aperto che rappresenta un villaggio etnico di inizio ‘900.
L’ altopiano di Zlatibor è proprio bello, capisco un po’ di più cosa venga a fare la gente qui anche in estate.
E queste percentuali di pendenza, quanto ancora hanno intenzione di aumentare? Fra l’altro, come si leggono? Indicano una salita o una discesa? Non importa, con pazienza e rampichino – la marcia più leggera che c’è – si scalano stradine all’apparenza verticali.
Ormai leggo il cirillico. Sirogojno. Giro a destra.
“Bici e bruttezze”, qui neanche il B/N funziona!
Colazione tipica serba. Che piacere. Manca solo la rakija!
Ecco una tipica Yugo particolarmente bella. La Zastava, la casa automobilistica che la produceva, era la più famosa della ex Jugoslavia e trovò persino una breve fortuna negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ’80.
A Sirogojno sul monte Zlatibor, le comunità rurali dalla seconda metà del XIX e inizio XX secolo, vivevano in questo tipo di costruzioni.
Tabaccaio. Arnie per le api.
Paglia messa a seccare per l’inverno. Per le bestie, mi dicono.
Deliziose prugne acerbe che Eider ingurgita con tutto il nocciolo.
Cassette destinate ad essere riempite con succulenti lamponi e mirtilli locali. Certo che peccato sprecare tutta questa plastica. Spero che siano con il vuoto a rendere, ma ci credo poco.
Ecco che il percorso di oggi ci regala una bella e rinfrescante sosta al fiume.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Guca, paesino nella parte ovest della Serbia che in questi giorni ospita il più grande ed importante festival di trombe del mondo.
Che la festa abbia inizio! Pare che sul palco ci sia gente forte.
L’orchestra di Boban e Marko Marković, e Biljana Krstić.
Questa chiesetta si posa, silenziosa ed accogliente, a pochi metri dal palcoscenico, con un ricco e luccicante assortimento di icone in vendita al suo interno. La gente che entra bacia la porta con la bocca, chiudendo gli occhi.
In questi grandi vasi di terracotta, carne e verdure cuociono per ore. Insieme. Vasi solo con verdure, ahimè, non ci sono. È una festa per carnivori, io mi devo accontentare delle pannocchie di mais tostate o bollite. Buone però!
E questo non è seitan allo spiedo, ne siamo sicuri?!
Pieni di risorse, i serbi, adibiscono a ristorante un edificio ancora in costruzione, decorandolo con abbondanti vasi di fiori.
Mi pare di aver capito che questa sia una band italiana. Ci fanno saltellare ben bene!
10 agosto 2019. 20° giorno.
Guca Trumpet Festival.
Alcuni abitanti di Guca, in questi pazzi giorni, improvvisano nel loro giardino un campeggio per gli avventori del festival, quasi tutti giovani e squattrinati.
“Camping 5€ per person per night”. Così c’è scritto sul cartello che tiene in mano il padrone di casa mentre ci cattura per strada.
Il campeggio improvvisato, mai aggettivo fu più azzeccato, prevede un buco al posto del wc. Magari fosse un toilet compost, cioè un bagno secco in cui ciò che espelliamo viene ricoperto con segatura, e poi la poltiglia – inodore se funziona bene – può essere utilizzata per fertilizzare l’orto. Oppure una toilette alla turca in cui non esiste la tazza bensì un vaso sanitario appiattito. Niente di tutto ciò. È un semplice buco spaventoso con la fognatura a vista. Una sorta di rudimentale bagno chimico senza l’utilizzo di prodotti chimici – non per una scelta ecologica, ma per ignoranza – frequentato da gente che non sa nemmeno prendere la mira. Cerco di non guardare, mi tappo il naso e vado. La paura più grande è quella di scivolarci dentro con un piede. Che Dio me la mandi buona.
È mattina, tutti dormono ancora. Il nostro giovane padrone di casa si appropinqua a farsi la toeletta.
Senza farsi notare entra in giardino con uno specchio dorato stile barocco, lo poggia sul tavolo accanto alla fontana rifinita con buste di plastica e si esibisce in una silenziosa danza della barba.
Ricerca la posizione più comoda e stabile per procedere alla rasatura quotidiana. Una sorta di squat, che purtroppo non riesce a tenere a lungo; senza temere il colpo della strega prova con le gambe tese e busto inclinato in avanti. Niente da fare, non funziona. Si inginocchia, ma neanche questa postura gli piace, chissà forse gli causa dei crampi ai piedi. L’idea di prendere una sedia non lo sfiora neanche per un attimo e questa danza continua a lungo finché riesce a radersi completamente raggiungendo le clavicole. Completata questa delicata operazione, indossa la maglietta pulita e, come tocco finale, si spruzza il deodorante sotto le ascelle ma al di sopra della maglietta. Sorride fiero allo specchio. Oggi sarà una bella giornata.
Buste di plastica nera per creare l’ambiente doccia più intimo. Docce solari inverosimilmente tecniche montate con stoltezza. Troppo basse. Se non ci si accovaccia come gli indiani l’acqua non scende. Docce in accosciata!
Ricariche per la doccia, che usano anche i padroni di casa. Secondo noi si sono affittati persino la loro stanza e dormono nel monolocale del nonnetto. Impossibile saperlo visto che non parlano neanche una parola d’inglese. Ogni tanto vengono verso di noi con qualche dolce fatto in casa e con un cartello con su scritto “1 euro” e sorridono.
Non sono mai riuscita a capire perché la raccolta di tappi di plastica dovrebbe aiutare qualche ragazzo sfortunato a comprarsi una sedia a rotelle. Da quando sono piccola che vedo in giro questo tipo di bussolotto. Non è quindi una pratica solo italiana. Funzionerà veramente?
Parata per la presentazione delle nozze tradizionali del Dragacevo, la regione in cui ci troviamo. Le band suonano tutte contemporaneamente cercando si sovrastarsi a vicenda. Un bordello inaudito, un sole cocente, cappelli di pelliccia ed erti calzini di lana.
I concerti che mi piacciono di più, sono quelli sul palco piccolo al calar del sole. Mentre questi giovani polacchi ci intrattengono con le loro trombe, mi distraggo guardando una poco più che neonata gitana vestita in pomposo raso, rosa pallido, con la faccia da adulta, anzi da vecchia. Mentre esito nel fotografarla, un vecchietto ne approfitta per palparmi il culo nascosto dallo zaino. Con mossa felina gli tolgo la mano, lo guardo, mi sorride. Completamente senza denti.
Ci ritroviamo a danzare fra ventenni disgustosamente sudati con la birra in una mano e la sigaretta nell’altra. Nonostante i miei felici anni di pratica della danza “Contact Improvisation”, in cui si è abituati a strusciarsi e arrotolarsi con il sudore altrui, qui sento il bisogno di tenermi a distanza.
Fra gitani che vanno in giro a raccattare lattine vuote, quasi fosse oro, gente che si avvolge serpenti a mo’ di sciarpa, o indossa gilet pieni di birra e bande che suonano sovrapponendosi e investendomi con un caos primordiale, mi ritiro nella mia tenda/sarcofago. Fortunatamente il nostro campeggio familiare è abbastanza lontano dalla folla.
Domani il percorso sarà lungo, con il maggior dislivello mai affrontato prima e questo mi spaventa un po’.
11 agosto 2019. 21°giorno.
Guca – Uvac Special Nature Reserve.
92 km. Dislivello positivo ~2.000 m.
Foto di gruppo per salutare la famiglia che ci ha ospitate a pagamento e via verso il prossimo parco naturale, la strada inizia in piano per fortuna, così ci scaldiamo un po’ prima della salita.
Fra i cartelli in cirillico e il navigatore che non ci localizza ci fermiamo imbambolate ad un incrocio, fino a che un signore appostato in finestra, viene in nostro soccorso. Parla incredibilmente inglese. Come un serbo ma con accento americano. Ci sediamo nella sua veranda bevendo succo di ribes fatto in casa.
Pieno di entusiasmo per la vita, ci dice che gli piace fare l’orto da cui proviene il ribes che stiamo assaporando, che è importante avere un hobby visto che è in pensione. Chissà se ha sbagliato a tornare dagli Stati Uniti dove ha lavorato per tanti anni, e dove ha un figlio e due nipoti. Ma stare nel suo paese natale lo riempie di gioia, così come il suo felice matrimonio e la sua casa in cui improvvisa una visita guidata speciale per noi. E poi qui ad Ivanjica ci sono i bagni termali e vengono da lontano per curarsi.
Quanto si sta bene sedute qui nella sua comoda veranda, però meglio non rilassarsi troppo perché la strada è ancora lunga. Come al solito la salita inizia con il caldo, un caldo che ti scioglie. Pazienza, non potevamo rinunciare alla sosta al ribes!
Altra pausa musicale rigeneratrice ai frutti di bosco.
Chiediamo ad un ragazzo spuntato dal nulla di scattarci una foto con lo smartphone. Gli servono vari teneri tentativi e il nostro intervento, per capire che bisogna premere un pulsante e che non basta tenere l’apparecchio in mano. Tuttavia, non siamo riuscite a spiegargli che il dito davanti all’obiettivo non rende bene nelle foto.
Oggi si rimorchia, lo sento, il momento è propizio. Il signore dei lamponi, mi vuole tutta per sé. Lo incontriamo varie volte nel corso della giornata. Sgommando si ferma davanti a noi, apre il cofano e ci offre fantastici lamponi appena colti. Lui parla in serbo, io italiano. C’è feeling, si capisce subito, però a casa sua – mica siamo matte – non ci andiamo.
Ecco un altro bell’uomo attempato, questo qualche dente in più ce l’ha, che mi aiuta a spingere la bici in salita sull’ultimo tratto di sterrato. All’inizio faccio la dura, non perché sono donna ho bisogno d’aiuto, poi, spompata, cedo e lo ringrazio. Eider va, non sembra aver bisogno di spinte e si guadagna il nuovo soprannome di “trattore”.
Rocambolesco arrivo al lago Uvac sul calar del sole, abbiamo un vago contatto di chi ci potrebbe far fare campeggio libero sul terreno del proprio ristorante. Spunta Dragan che, in rigoroso serbo e naturalmente senza denti, ci dice che è inutile aver piantato le tende perché fa troppo freddo e l’umidità ti si porta via, questo tendone ammuffito è molto meglio. Come dire di no.
Il cielo è ormai scuro, ci accompagna quindi al bagno altrimenti non l’avremmo trovato e, per completare il servizio, ci illumina dal vetro della porta aspettandoci servilmente.
Ci apparecchia la tavola nel suo ristorante, un prefabbricato in legno che affaccia sul lago, chiuso per tutti tranne che per noi. Ci guarda mentre mangiamo e chiacchiera con noi. In un serbo molto espressivo. Mi sembra di capirlo. Arriva il momento della rakija a cui non si può dire di no. Finisce il momento della rakija perché noi, stanchissime, vorremmo andare a letto e non ce la facciamo più ad ascoltarlo. E invece no, eccoci sedute di nuovo a mangiare una pesca noce che, pare, sia essenziale per neutralizzare l’alcool di questa bevanda che sa di spirito e ti punge in gola. Ovviamente ci accompagna in tenda e ci rimbocca le coperte, ci manca poco che si sdrai beatamente con noi. Serate così valgono il viaggio intero.

12 agosto 2019. 21° giorno.
Gita in barca.
In bici Uvac – Knezevac 30 km.
Dopo una ricca colazione a base di zuppa del giorno prima, ci facciamo portare in barca da Sretko, il figlio di Dragan. I meandri del fiume/lago Uvac danno ospitalità a oltre cento specie di uccelli, i più importanti sono i grifoni, dei rapaci simili agli avvoltoi. Ne vediamo parecchi svolazzare in tondo.
Sretko sembra essere un’ottima guida. Beato chi lo capisce.
Dragan, in un serbo impeccabile, declama la lettera di saluti che ci ha scritto sul quaderno.
Tazzina a testimonianza del fondo del caffè premonitore. Leggendone le caratteristiche, Dragan rassicura Eider che fra qualche mese, mi sembra di aver capito tre, partirà come un razzo verso le stelle perché avrà trovato il meritato fidanzato… io il caffè non lo bevo, quindi niente lettura del futuro per me.
Riceviamo ancora un gradito regalo. Erbe medicinali raccolte per noi, nel caso in cui avessimo mal di pancia, di gola o di testa.
Si parte verso il Kossovo, ma è già pomeriggio. Servirà una tappa intermedia.
A causa di un’ incomprensione con il navigatore, riusciamo a fare solo 30 km.
Quale miglior posto per dormire del prato verde e liscio di una chiesetta/cimitero sulla collina? Non ne capiamo bene il motivo, ma accamparci accanto ad una chiesa ci rassicura, se qualcuno passasse da queste parti, sarebbe comprensivo e compassionevole, pensiamo. E poi c’è anche la fontanella per i morti. L’acqua è vita.
13 agosto 2019. 22° giorno.
Knezevac – Novi Pazar – Gazivode (Kosovo)
100 km. Dislivello positivo 1.600 m.
Questa è la quarta banana della giornata.
“Bici e Bruttezze”.
dav
Superiamo i 1.000 km prima di entrare in Kossovo.
Ricominciano le moschee, si capisce che ci stiamo avvicinando a Novi Pazar, cittadina che ospita la più estesa comunità musulmana della Serbia.
Esempi di architettura brutalista, socialista e bizantina rivisitata.
dav
Per entrare in Kossovo ci aspetta una bella salita, aspettiamo che passino le ore più calde in questo lounge bar stramoderno, con tanto di caricabatterie da tavolo e la Cockta. La finta Coca Cola locale più sana, più buona e più etica di quella originale.
Cosa ci aspetterà in Kossovo? Abbiamo quasi timore a parlare di questo stato in Serbia, dove non accettano la sua indipendenza.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.