[1°/2 novembre 2019]
Primo giorno
“Siamo stremati” dice Massi. “Per telefono è difficile da spiegare, ma siamo quasi in una situazione d’emergenza!”
Quest’uomo alto e slanciato, con due gambe possenti e la prostata da far revisionare – visto che fa pipì ogni mezz’ora –, vestito di tutto punto con le ultime offerte della Lidl per ciclisti, è sfinito dopo appena 50 km di bici e 1000 metri di dislivello positivo. Non si rassegna al fatto che a Piediluco, nostra prossima meta, non ci siano alloggi disponibili a parte una stanza d’albergo per due con possibilità d’inserire giusto un lettino in più. “Al limite io dormo nella doccia, ma a Poggio Bustone non ci arrivo!”. Sconfortato ventila l’ipotesi di chiamare un NCC o un cugino con furgone. “Tutto va bene fuorché affrontare altre salite”.
Secondo giorno
Io rido sotto i baffi – che avevo cercato di sradicare con svogliata maestria prima della partenza –, sperando segretamente che si trovi un alloggio in paese. Non tanto per la salita che resta, quanto per raggiungere l’apice della mia gioia solcando le acque setose e scorrevoli – tanto che ci organizzano i campionati mondiali di canottaggio – del lago di Piediluco a bordo di una canoa, equilibrando così la dose di esercizio fisico quotidiano allenando anche la parte superiore del corpo incastrata per ore sul manubrio della bici.
Con mia grande sorpresa – perché il viaggio estivo è finito da un pezzo e sono due mesi che non pedalo se non per andare al lavoro – quella stessa salita che ha stremato Massi, non mi è costata troppa fatica.
Avevo un traino però. Qualcuno da seguire e che in qualche modo mi risucchiasse verso l’alto. Mauro.
Mai visto prima, amico di amici, è apparso sul treno Roma-Spoleto – con cui abbiamo raggiunto il punto di partenza del percorso in bici – con curiosi doppi occhialetti fotocromatici da miope e pantaloncini con fondello guarniti di un audace taglio ‘vedo non vedo’ lungo la plica interglutea che sembrano usciti da una collezione per ciclisti sado-maso, non certo firmati Lidl.

Pare che Mauro sia venuto a far volontariato per noi in questo fine settimana in Umbria. Per noi che non pedaliamo mai fino a mezzanotte come fa lui di solito. Che ci portiamo borse e borsette e abbiamo pure il portapacchi montato e le forcelle ammortizzanti che pesano per lo meno un chilo ognuna. Che abbiamo vestiti di ricambio e che alle sei del pomeriggio indossiamo già il piumino per il freddo e per la penetrante umidità del buio. Che non abbiamo mai percorso e mai percorreremo 290 km di fila per un totale di 5000 metri dislivello positivo, perché in bici sono le salite che contano e ci rendono duri/e o rammolliti/e. Che non dormiremo mai con il sacco a pelo all’aperto e senza nemmeno una tenda e non disdegniamo pensioni e agriturismi.
Durante quella salita arrancando gli stavo dietro, lui invece sembrava andare al rallentatore per aspettarmi.
La mia bella e femminile – parafrasando quello che dice Massi – amica Livia arriva per ultima grondante di sudore, come al solito, dando la colpa al cavo popliteo – la parte posteriore del ginocchio – per questo suo avanzare lento. L’importante è arrivare in cima.
Per fortuna a Piediluco escono fuori due appartamentini da due, liberi. Massi tira un sospiro di sollievo.

Con grande delusione e sconcerto della padrona di casa ci dividiamo in maschi e femmine. Quattro single in gita per il week end. “Che spreco” pensa Livia e io leggo nel suo pensiero. Non si crea nessuna connessione e va bene così.
Per fortuna che c’è stata la gita in barca – quella turistica e piena di ragazzini che gridano e piangono – con la guida Umbra doc che ci porta in giro al calar del sole. Molto meglio del giro in canoa, con quel freddo!
E poi la ricca cena siciliana di lago umbro rallegrata dalla colonna sonora dei motorini dei frigo e aromatizzata al lezzo di muffa – che pare abbia fatto venire il mal di testa a Livia, ma lei è una tosta e non si è presa neanche l’Aulin –. Fra la trota/alice di Massi e la lezione di anatomia della bicicletta di Mauro – che disquisisce del suo telaio in carbonio con forcelle rigide e leggere e i poggia gomiti montati sul manubrio e i ‘problem solver’ montati da qualche altra parte, come se parlasse del corpo di una bella donna – la giornata volge al termine e ci rintaniamo nelle nostre alcove di paese.
Tutti tranne me avevano già pedalato lungo il percorso di oggi, almeno parzialmente. A Spoleto, dove siamo arrivati in treno, abbiamo imboccato la ‘Ex ferrovia Spoleto-Norcia’, una ciclabile sterrata facilmente percorribile anche con ruote liscissime come le mie, per poi deviare all’altezza di Sant’Anatolia passando per Scheggino e la ‘Greenway’ della Valnerina che non avevo mai sentito prima (non si finisce mai di imparare). E poi ancora una deviazione verso il nostro agognato lago di Piediluco, visto che a Poggio Bustone – dove avevamo pensato di alloggiare poiché Massi è di casa – non ci saremmo arrivati neanche il giorno dopo. Per colpa delle previsioni meteo, non per la temuta salita.
Il secondo giorno, di buon’ora ma non troppo, scegliamo un percorso per sfuggire alla pioggia. Verso Terni dove c‘è la stazione del treno per tornare a Roma, e soprattutto la basilica di San Valentino che è di buon auspicio per chi abbia voglia e coraggio di innamorarsi, ma che purtroppo abbiamo trovato alquanto anonima e bruttina. Poi verso Narni perché tanto ancora non piove e c’è eventualmente un’altra stazione del treno. Narni è carina, vale la pena passarci, per proseguire – perché fortunatamente ancora non piove – su un tratto del ‘Percorso dell’acqua’ lungo il fiume Nera e impiastrare la bici di fango (tanto una volta a Roma potrò lavare la bici alla fontanella come Livia mi ha insegnato). Infine, ci ritroviamo a pedalare sotto la pioggia sulla quasi autostrada che arriva ad Orte. Ho osservato innumerevoli volte il nome di questo paese lampeggiare sul tabellone del treno della tratta di ‘Fiumicino aeroporto’, senza mai sospettare la gioia che avrei provato nell’arrivarci in bici bagnata zuppa dopo 63 km di pedalate con tanta fortunata discesa.
Devo ammettere che il mio esperimento da fotoreporter di viaggio è fallito al primo tentativo. Dotata di una macchinetta fotografica che non usavo da anni e che pur essendo digitale sembra funzionare con una pellicola in cui sia filtrata troppa luce, ho portato a casa tante foto sciape e sovraesposte. Oppure mosse, ma questo è dovuto al fatto che in bici siamo dei fulmini mancati. Non mi sono neppure attrezzata con un taccuino per prendere appunti sul percorso, e durante la visita guidata sul battello mi sono addormentata un pochino perdendo gran parte delle spiegazioni.
Questa due giorni in bici termina con la promessa di andare con Mauro, in primavera, in uno dei suoi percorsi off road, pedalare almeno fino a mezzanotte con la luce frontale e dormire all’addiaccio insieme agli animali selvatici che ci verranno a rendere visita.
Ecco i link che spiegano i percorsi da cui abbiamo tratto il nostro itinerario.
http://www.bikeitalia.it/spoleto-norcia-in-bici-lungo-la-vecchia-ferrovia/
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