Il 2 luglio sarei dovuta partire per Dushanbe, la capitale del Tagikistan in Asia centrale… e invece a causa del Covid 19 mi sono ritrovata in Francia! Ecco, come è iniziata l’avventura…
(Sono ancora in viaggio e appena rientro posterò il tragitto e altre foto)
Piove… in realtà sembra che debba piovere, anzi qualche goccia qua e là già si sente.
Sul tavolo sgraziato del campeggio sono rimasti solo i piatti sporchi della cena di ieri. Il cielo, se lo si osserva con attenzione, è pieno di mutevoli sfumature che comprendono l’intera scala di grigi dell’applicazione che serve a trasformare le foto in bianco e nero.
Bisogna tenere la bocca chiusa per evitare che entrino questi noiosi moscerini solitari che si scostano a turno dalla loro congregazione a forma di nuvola. Ho imparato recentemente che dopo un fulmine bisogna contare fino a tre per ogni chilometro di distanza finché non si avverte il tuono. Lampo: uno-due-tre, uno-due-tre, uno-due tuono… ecco questo è caduto a poco meno di 3 km da qui. Oggi, dopo circa due settimane di viaggio, dovrebbe essere il nostro giorno di riposo per goderci il lago, leggere, sistemare foto e pensare al percorso da seguire nei prossimi giorni.
Dopo Ferragosto speriamo di trovare meno traffico. Nei giorni scorsi, in strada, sentivo delle strane grida che si ripetevano ogni tanto. Era Natacha, la mia cara compagna di viaggio, che insultava in lingue diverse e tonalità sorprendenti gli automobilisti che la sorpassavano senza lasciarle abbastanza spazio… eppure di cartelli di sensibilizzazione verso le biciclette se ne vedono molti in giro: “condividiamo la strada”, “sorpassa le bici a 1,5 m”, “guida responsabilmente”, etc…
Nella nostra piccola classifica i meno rispettosi sono nientemeno che gli olandesi, sì, proprio loro, tanto emancipati con le loro piste ciclabili ubiquitarie e protette che fuori dal loro paese non sanno gestire la guida.
Ora sono barricata nella mia nuova tenda, super leggera, super tecnica, super antipioggia, super ecologica ed equosolidale, nonché super costosa. Ho appena scoperto che c’è persino una “rainproof ventilation” (così c’è scritto sull’etichetta), per non soffocare in caso di pioggia insistente e caldo asfissiante.
Natacha, come un’anima in pena noncurante della pioggia, girovaga intorno alla tenda e si allena a sollevare una grossa pietra. A volte avverte il bisogno di sentirsi primitiva!
Siamo ora sul lago di Sainte-Croix nel Verdon, ci siamo incontrate a Torino, ma abbiamo iniziato a pedalare da Tende nel Parco nazionale del Mercantour dove siamo arrivate in treno… non potevamo mica pedalare sotto l’acquazzone e poi affrontare una salita come quella del colle di Tende (che separa l’Italia dalla Francia), dopo lo scarso allenamento causato dal lockdown… sarebbe stata un’ammazzata! Senza considerare che per Natacha è il primo viaggio in bici e non la voglio traumatizzare subito.
Le bici devono comunque aspettare perché dal paesino di Tende, appena intravisto il primo raggio di sole, siamo partite per la montagna a piedi, alla scoperta della Valle delle Meraviglie e delle sue innumerevoli pitture rupestri. Questi incomprensibili scarabocchi incisi picchiettando nella roccia fra il V e il II millennio a.C. danno adito alle più svariate interpretazioni logico-mistico-poetiche.
Entrare in contatto con questi simboli ancestrali mi ha condotto in un’altra realtà temporale, come se tutto lo spazio-tempo che riesco a percepire, ma anche quello che sfugge ai miei sensi, per un istante si fosse condensato in un unico punto posto alla fine di una sorta di imbuto-vortice, che non riesco a capire se sia dentro o fuori di me, a cui, però, posso accedere quando voglio. Solo ora che lo scrivo me ne rendo conto e riesco a capire meglio l’eccitazione e l’entusiasmo della nostra guida per quei pugnali, corna di toro, recinti tratteggiati, aratri, etc… incisi in posizioni ben studiate e simboliche.
Partiamo di buon ora per il trekking di circa 4 ore per raggiungere il rifugio da cui poi inizierà la visita guidata; passeremo la notte in tenda a oltre 2000 metri d’altitudine e poi ci aspetterà la discesa per tornare giù a prendere le bici. Non siamo ben attrezzate per questa avventura, è piovuto, e persino grandinato, durante la notte… devo ringraziare Natacha che mi spinge spesso a fare cose che vanno oltre il mio senso di comodità, e che ha portato sulle spalle tutto il materiale necessario per il bivacco. Viaggiando in bici non abbiamo zaini abbastanza capienti, ma Nat, da boy-scout provetta, ha attaccato al suo piccolo zaino da 30 litri, una borsa da bici con le vettovaglie, il suo sacco a pelo (più grande dello zaino stesso), la tenda, il mio materassino, etc… un accrocco così imbarazzante che, per dargli una parvenza di credibilità, abbiamo ricoperto con una giacca antipioggia che nascondesse le sue imperfezioni.
Sono sempre incuriosita da ciò che le persone ritengono utile e imprescindibile nei momenti in cui bisogna trasportare il minimo indispensabile. Nella tasca di questo K-way c’è una lametta che la mia compagna di viaggio ha infilato lì all’ultimo momento perché, dopo quattro ore di camminata con 1000 metri di dislivello sulle rocce e la grandine del giorno prima, fra laghi di alta montagna e tane di marmotte e con altre tre ore di visita guidata in giro per la valle, avrà bisogno di depilarsi le gambe. Non può sopportare che si pungano fra di loro durante la notte… senza pensare che comunque dormiremo con tutti i vestiti che ci siamo portate dietro, io addirittura con quelli antipioggia. Svegliarsi in alta montagna mi dà un indescrivibile senso di libertà e pace.
L’altro “oggetto” necessario per Nat era una fiaschietta di Pastis, sciroppo di anice alcolico al 45% tipico della Provenza, da diluire con acqua e sorseggiare giocando alle “boulle”, le bocce, pericoloso sport praticato da tutti, impavidi giovani e vecchi annoiati.
Al mattino seguente smontiamo la tenda entro le 9 (in Francia ci sono regole per tutto) e scendiamo giù per iniziare il nostro viaggio in bici con calma, gusto e curiosità.
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