Un esile ponte collega e divide due realtà. Da un lato la pipinara a mollo nell’acqua calda con gonfiabili a forma di unicorno, di trancio di pizza o di bottiglia di champagne rosé – io ne vorrei uno enorme a forma di fetta di cocomero ma viaggiando in bici non è stato possibile esaudire questo mio desiderio -, accalcati gli uni sugli altri con dei costumi da bagno variopinti più o meno alla moda, bar con assillante musica commerciale per cercare di tirare su il morale di questa massa informe e sudata. Dall’altro pochi sventurati che hanno osato attraversare il ponte, più o meno consapevolmente, nonostante il cartello con un costume da bagno verde e una eloquente sbarra rossa che lo divide a metà, trasversalmente.
Noi abbiamo imboccato il ponte più per il bisogno urgente di fuggire dalla calca, che rende questo paradiso un quasi-inferno, che per quello che c’è scritto sul cartello.
All’estremità opposta di questa passerella di legno, in bilico su ignare rocce immerse nel mare, c’è un incredibile silenzio. Eppure solo una manciata di metri separa questi due mondi, quello commerciale e quello pagano. In quest’ultimo si ha la consuetudine di non indossare colorati copri-sesso di nylon, la tradizione vuole che ci si mostri “nature”, come mamma ci ha fatto, come dire… nudi, nudi come vermi.
Se questa vermitudine è il prezzo da pagare per stare tranquille, ben venga, l’importante è che non ci siano voyeur.
Nei più maldestri di questi avventori, sicuramente capitati lì per sbaglio o per disperazione – il confine fra questi due universi è così labile e ambiguo che ci si può facilmente confondere -, si notano una certa esitazione nello sfilarsi i panni di dosso e delle iniziali contorsioni per tentare di nascondere quelle parti di sé che per costumanza non prendono mai il sole. Gli habitué invece iniziano lo spogliarello già durante il percorso di avvicinamento alla tanto agognata postazione.
In barba al primo pilastro della Mindfulness, il “non giudizio”, noi, come delle vere comari, non riusciamo a fare a meno di guardare e commentare chi ha malauguratamente messo piede su questa spiaggia… con l’innocenza e la curiosità dei bimbi però. Con stupore ci accorgiamo che la gente, forse, è più bella in costume o ancor meglio se vestita, anche noi naturalmente. A parte pochi fortunati, che però non bazzicano questa spiaggia, per il resto mi sembrano tutti troppo storti, troppo gonfi o troppo rinsecchiti, anche quelli con il corpo più proporzionato e possente emanano una strana aura a causa del loro pube depilato. Sì, completamente depilato, glabro, senza peli, liscio. Uomini e donne, giovani e vecchi. Ripeto: uomini e donne, giovani e vecchi, all’80-90%.

Dopo un mese e mezzo di viaggio in bici, durante il quale io e Natacha abbiamo pedalato per oltre 1000 km, attraversato le Alpi, percorso uno dei passi più difficili d’Europa, ci siamo morte di freddo sulle Dolomiti e di caldo in Croazia, abbiamo visitato la Slovenia, dove non eravamo mai state prima, scoprendo che è un paese verdissimo e Lubiana, la capitale, è una città dove potremmo vivere, se parlassimo lo sloveno… io sto qui a scrivere di culi e piselli rasati, di tette cadenti o rifatte, di abbronzatura integrale con sfumature fucsia lì dove ci si dimentica di cospargere la crema solare, un esempio classico è la plica interglutea. Il colorito della pelle appena bruciata, in questi luoghi del corpo così insoliti genera in noi tanta ilarità che non posso fare a meno di raccontarlo e l’esperienza sulla spiaggia nudista di Stara Baska sull’isola Krk in Croazia è così avvincente che ogni avventura in bicicletta passa in secondo piano.

Le parti intime maschili e femminili integralmente depilate sono, a mio avviso, un abominio della natura. Mi scusino i lettori e le lettrici che praticano questa sorta di mutilazione, non è mia intenzione giudicarli, avranno le loro buone ragioni, ne sono sicura.
Io stessa una volta ho tentato di imitare questa moda, non so bene come chiamarla, con il risultato che dopo pochi giorni il prurito era talmente forte da non riuscire a montare in sella alla mia bici.
No, non parlerò dell’ascesa al passo dello Stelvio che con i suoi 1.500 m di dislivello positivo in 21 km ci è costata 8 ore di sfacchinata, 4 banane, 6 datteri, innumerevoli mandorle, 4 litri d’acqua, 2 panini all’olio, 1 barattolo di olive, grissini a gogò, 3 nettarine, 4 albicocche e 1 bustina di cocco disidratato e che quando siamo arrivate su non c’era neanche un bar aperto per festeggiare con una buona birra e ha iniziato a fare così tanto freddo che per la discesa ho indossato tutti i miei vestiti caldi, ma non ho messo gli occhiali da sole perchè altrimenti non avrei visto niente a causa dell’incombere della notte, con la conseguenza che ho avuto gli occhi gonfi per una settimana. No, non parlerò della sconfinata gioia che ho provato arrivando in cima, né delle lacrime di unione con il tutto che appena uscite ho dovuto ingoiare per colpa un ciclista insensibile che ha interrotto bruscamente questa mia goduria per farsi scattare una foto con il cartello “Passo dello Stelvio – m 2758 s.l.m.”.

Ho bisogno piuttosto di parlare della sorpresa sopraggiunta in spiaggia quando il nostro vicino di tenda, asiatico, giapponese suppongo – ed è già sorprendente trovarne in campeggio, mi sembra di non averne mai incontrati prima – si sdraia nudo non troppo lontano dai nostri asciugamani.
La malizia non c’entra, ma lo sguardo cade lì, come dove? lì, sull’attributo. Ebbene questo era nero, nero come la pece. C’è molto da imparare su questa spiaggia di ciottoli senza ombra. Nero, il coso era nero! E non per via dell’abbronzatura, ma perché la natura ha deciso che era più conveniente così. Avrei voluto chiedere il permesso, a lui e a sua moglie, per poter osservare un po’ più da vicino questo contrasto cromatico che tanto mi incuriosisce, è forse “la mente del principiante”, di cui si parla tanto nella Mindfulness, che si sta manifestando in me? Non c’è nessun vezzo orgiastico, puro stupore. E in ogni caso, lui è unico nel suo genere o è cosa comune nell’oriente?
No, ma cosa lo racconto a fare che quando viaggi in bicicletta la gente è più gentile e disponibile con te?! …e che dopo una salita assurda con inclinazione al 14%, un caldo boia e un traffico fastidiosissimo siamo giunte a Ortisei – paesino chic delle Dolomiti altoatesine – senza riuscire a trovare il luogo adatto a piantare la tenda, tanto che eravamo indecise se passare la notte nel finto treno del parco giochi o sul grande prato poco fuori il paese. Per fortuna la signora Maddalena, con il suo fare spigliato e allegro, ci ha invitato a piantare le tende nel suo giardino, salvandoci così dall’elicottero del soccorso alpino che ha occupato per ore il prato che avevamo puntato e dai guardoni del parco giochi che, non si capisce perché, era circondato da telecamere.
Preferisco condividere con i cari lettori e le care lettrici il dubbio atroce che per giorni ci ha attanagliato e che non abbiamo ancora sciolto. Le signore e i signori di una certa età che non presentano pelosità pubica, hanno scelto questa condizione infantile oppure è la natura che li porta ad essere così alla moda? Forse qualcuno di voi lo sa e ci può aiutare a capire, oppure lo scopriremo tra un bel po’ di anni, quando il tempo farà il suo corso e, chissà, magari non avremo più questa naturale capigliatura protettrice.

Quanto piacere si prova nel nuotare nudi – chiedetelo in giro se non ci credete o provatelo! – e si sperimenta anche un senso di libertà non solo perché il corpo non è costretto da nessun tipo di tessuto, ma anche perché ci si rende conto che non c’è nulla da nascondere, che siamo tutti così perfettamente imperfetti – chi più perfetto, chi più imperfetto – che non possiamo non amare questo nostro corpo-casa-tempio che la natura, più o meno clemente, ci ha offerto e che noi abbiamo trasformato nel corso della nostra vita e che è il risultato di un mischione tra il nostro patrimonio genetico, il nostro stile di vita e le nostre attitudini mentali.
Non c’è bisogno che descriva la bellezza della valle del fiume Soča – che in Italiano, non si sa perchè, si chiama Isonzo – che con le sue acque turchesi – e non lo dico per fare invidia ai lettori e alle lettrici – turchesi veramente! ci ha accolte appena entrate in Slovenia. Con mio grande stupore appena oltrepassata la frontiera di questo nuovo paese da scoprire, che per me era un mero prolungamento dell’Italia, la gente parlava sloveno e non italiano, incredibile!
Gli sloveni e le slovene sorridono raramente, sono duri, sembrano sempre incazzati ma quelle rare volte in cui ti rivolgono la parola sanno essere simpatici e si commuovono anche loro di fronte al miracolo della sorgente del fiume Soča. No, non che lì sia avvenuto un miracolo nel senso cattolico del termine, il miracolo è la sua bellezza e il fatto che dal niente sgorghi l’acqua. Va bene mi avete scoperta, in realtà sono io che mi sono commossa immergendo rapidamente le mie mani nella pozza d’acqua sorgiva per auto-somministrarmi un battesimo in fretta e furia a causa della fila dietro di me. Avrei avuto bisogno di più tempo per ricevere una grazia dall’acqua del Soča – non riesco a chiamarlo Isonzo, mi sembra una presa in giro – ho cercato di condensare tutti i miei desideri in un’unica frase ma non ci sono riuscita e la mia mente – non la mia voce per fortuna – ha pronunciato una richiesta inaspettata e sciocca, “proteggimi o acqua gelida e celestiale”. Io, anzi non io ma la mia mente, ha recitato questa frase… poi, per non saper né leggere né scrivere, ho aggiunto “e fammi trovare il fidanzato”, visto che l’ultimo che avevo mi ha mollata nel bel mezzo di un viaggio in bici e per giunta ha sostenuto che sono stata io lasciarlo.

Qualche giorno fa un post sulla pagina social di un ciclo viaggiatore conosciuto in un paesino sperduto della Slovenia recitava “la società ha cercato di convincerci che le smagliature o i seni cadenti sono brutti, quando comunque esistono i testicoli!” appunto, cavolo! nascondeteli con un bel po’ di peli, che poi se ci sono questi riccioli avranno una loro funzione? o la natura dispettosa li ha messi li per farci uno scherzetto? é da tanto che sostengo che l’universo abbia uno spiccato senso dell’umorismo, che la questione dei peli pubici sia dunque una manifestazione di questa sua caratteristica?
Non sono riuscita a trattenermi dal fare una ricerca online sul tema del cespuglio intimo, ma non riporterò tutto quello che ho imparato per non annoiare i miei lettori e le mie lettrici che non sono certamente interessati all’argomento, mi sento però in dovere di divulgare alcune informazioni vitali che potrebbero migliorare la qualità della vita di chi legge. I peli pubici ci potreggono da eventuali infezioni, fungono da cuscinetto nei rapporti sessuali evitando indesiderati sfregamenti, trattengono gli odori attirando così i maschi – nel caso di peli pubici di femmina, ma non sono riuscita a trovare informazioni su quelli maschili, le femmine sarebbero attirate dall’odore dei peli pubici dei maschi? mmm, non credo! – , siamo gli unici mammiferi ad aver ricevuto questo regalo dall’evoluzione, nel XIX secolo le donne si rasavano completamente la vagina per evitare malattie intime come ad esempio le piattole, quindi le donne del XXI secolo non si sono inventate niente di nuovo e comunque le piattole si sono estinte, mi sembra, o comunque non se ne parla più. Non tutti sanno però che le nostre ave vittoriane applicavano dopo la rasatura dei peli posticci, udite udite, una vera e propria parrucca pubica. Nelle mie ricerche, purtroppo, non sono riuscita a trovare informazioni in merito al materiale di composizione di tali parrucche, capelli? peli di gatto? coda di cavallo? peli pubici maschili? Inoltre… le appiccicavano con una colla speciale? oppure con un cordino intorno al bacino?

Fra un grattacapo e l’altro mi rendo conto che il mare rende fiacchi e ammoscia. Se già durante il viaggio in bici mi sentivo spesso una rammollita perché pedalavo con il mio ritmo lento, perché mi fermavo ogni volta che vedevo qualcosa di bello, o perché avevo paura che il cuore mi esplodesse per lo sforzo, o perchè non vedevo più niente a causa della crema solare che mettevo sistematicamente anche sulle palpebre, dimentica dell’esperienza accecante del giorno prima, adesso che ho deciso di rimanere qualche giorno su questa isola croata, con la mia bici triste e sola legata all’albero accanto alla mia tenda, mi sento più molle che mai.
A volte mi fermavo per scattare una foto, non tanto per immortalare quella scena da capogiro quanto per giustificare il mio stop. Insomma non sono una “vera” cicloviaggiatrice, di quelle che non scollano il didietro dal sellino prima di aver percorso almeno 100 km e non si prendono un giorno di riposo nemmeno se le costringi. Io sono così tanto avvezza al piacere e così poco alla sofferenza che non diventerò mai una vera viaggiatrice su due ruote. Pazienza!
Forse sono solamente pigra? Boh, non lo so, devo chiedere in giro.
Però so che l’inattività fisica – soprattutto dopo tanti giorni in movimento – fa calare il buon umore e quando sento che questo sta per scendere sotto i piedi mi metto subito a faticare… flessioni, addominali, squat meglio ancora se sotto il sole cocente e nudi. A volte mi sento uno spiedino!
Dicevo che muoversi quando ci si sente molli funziona, lo consiglio a tutti/e voi che mi state leggendo, però bisogna scegliere gli esercizi giusti. Io, ad esempio, adoro i saltelli del Fascial Fitness, ma mi sento di sconsigliarli alle donne della spiaggia nudista a meno che non abbiano seni di plastica, di quelli che rimangono immobili anche nelle acrobazie più improbabili. Agli uomini nudisti non so che dire, forse non conviene farli neppure a loro. Palle in silicone ne abbiamo?
Niente da fare, non mi riesco a scostare da questo argomento. Mi piacerebbe almeno disquisire sull’importanza di accettare e amare il nostro corpo così com’è, che è l’unico che abbiamo su questa terra, perlomeno in questa vita, e che nonostante abbia una notevole capacità di autoguarigione noi dobbiamo rispettarlo e sostenerlo nel suo percorso verso l’invecchiamento – e la degenerazione -, potrei parlare della vitamina D che è sicuramente straripante nei nudisti, dell’armonia con l’universo che si prova quando non si indossano vestiti ne ho già parlato? Del fatto che nudi non ci sono filtri, barriere fra noi e il mondo circostante e questo ci permette di immergerci ancora più in profondità nella natura? Certo gli eschimesi non sarebbero d’accordo con questa affermazione e neanche i nomadi del deserto… andatelo a dire a loro di denudarsi per sentirsi meglio!

Ad esempio io, in bici, mi sento felice anche se sono vestita… soprattutto perché pedalare nuda mi provocherebbe non pochi problemi, come dire… intimi.
In ogni caso, adesso che ho cambiato isola e spiaggia, soffro nel sentire il costume sulla mia pelle e indossarlo mi sembra una scemenza.
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